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Se l’assegno postdatato, rilasciato a garanzia del pagamento di un debito, è fiscalmente irregolare sin dall’origine non potrà costituire valido titolo esecutivo per fondare l’esecuzione contro il debitore, mentre potrà essere utilizzato come prova scritta a dimostrare una promessa di pagamento, per ottenere la concessione di un decreto ingiuntivo, unitamente ad altri documenti come ad esempio le fatture rimaste insolute. Tale principio è stato ribadito anche da Cass. Civ. n. 35192 del 30 novembre 2022

 

Marito e moglie che risiedono in due abitazioni diverse per esigenze effettive e dimostrabili, hanno diritto all’esenzione IMU per entrambi gli immobili, a patto che rispettino la condizione della doppia residenza e dimora abituale. La Corte Costituzionale con la celebre sentenza del 13 ottobre 2022 si è pronunciata sul travagliato tema delle agevolazioni prima casa. Ai Comuni il vaglio sulla legittimità delle richieste.

Ai fini della corretta individuazione del momento di effettuazione dell’investimento per ottenere i benefici fiscali del credito d’imposta industria 4.0, in tutti i casi in cui, oltre alla consegna del bene sia prevista anche la sua installazione o posa in opera, è necessario determinare se al caso di specie sia applicabile la disciplina della vendita oppure dell’appalto

Come noto, ormai da lungo tempo sussiste un contrasto in seno alla giurisprudenza di merito e a quella stessa di legittimità in ordine al trattamento da riservare al credito del professionista (advisor legale o finanziario) che abbia assistito la società nella procedura di concordato preventivo in caso di successivo fallimento della stessa.

Gli scriventi hanno avuto modo di occuparsi della questione avendo assistito in varie occasioni, sia professionisti, che curatele fallimentari, nei giudizi di opposizione allo Stato passivo presso i Tribunali di Arezzo e Siena. La tesi largamente prevalente nel foro aretino è sempre stata in linea con quella tracciata oggi dalle Sezioni Unite: si rammentano al riguardo vari precedenti (Tr. Arezzo decreto del 15/12/2020, decreti gemelli del Tribunale di Arezzo del 27/09/2017, decreto 21/02/2017).

Negli anni la giurisprudenza della Corte era sempre stata sfuggente sul profilo della spettanza della prededuzione al professionista che avesse assisito il fallito nella procedura minore poi dichiarata inammissibile, ma l’orientamento prevalente era nel senso inverso, ovvero quello di ammettere la prededuzione ex art. 111 l.f., ciò perché, non essendo previsto nella norma un vaglio ex post in ordine alla utilità della prestazione in funzione della procedura, si sarebbe dovuto effettuare unicamente un giudizio prognostico ex ante ed in astratto sul possibile vantaggio in favore della massa.

Già nel 2018 la Corte aveva però precisato, con una pronuncia invero isolata, Cass. 6 marzo 2018, n. 5254, che“l’art. 111, comma 2, l.fall., nello stabilire che era da considerarsi prededucibili i crediti sorti in “funzione” di una procedura concorsuale, presupponendo infatti che la procedura fosse stata aperta (e dunque, quanto al concordato, che l’opera prestata fosse sfociata nella presentazione della relativa domanda e nell’ammissione dell’impresa alla procedura minore, dimostrandosi in tal modo “funzionale”, cioè strumentalmente utile, al raggiungimento quantomeno dell’obiettivo minimale perseguito dal cliente)”. Nel gennaio 2021 interveniva nuovamente la pronuncia n. 639/2021, in contrapposizione al prevalente orientamento che si era andato formando sul punto, disconoscendo la prededucibiità del credito dell’advisor per l’ipotesi in cui la domanda concordataria fosse dichiarata inammissibile.

Con ordinanza interlocutoria n. 10885 del 2021, al fine di dirimere il contrasto, le Sezioni Unite erano infine state investite delle seguenti questioni: i) se la disciplina della revocatoria dei pagamenti di crediti insorti a fronte della “prestazione di servizi strumentali all’accesso alle procedure concorsuali” condivide la medesima ratio che è posta a fondamento della prededuzione del credito dei professionisti che abbiano prestato la propria opera in vista dell’accesso alla procedura concordataria; ii) se debba essere ribadito che la prededuzione di detto credito non trova fondamento nel presupposto dell’occasionalità, ma in quelli della funzionalità e/o della espressa previsione legale; iii) se debba essere ribadito che il criterio della funzionalità va scrutinato ex ante, non considerando in alcuna misura l’utilità della prestazione del professionista; iv) se la previsione legale si riferisca al solo professionista attestatore o anche agli altri professionisti cui si è fatto cenno; v) se il preconcordato sia una fase di un’organica procedura o se la procedura di concordato preventivo, anche in caso di concordato in bianco, abbia inizio con il provvedimento di ammissione del tribunale; vi) se la prededuzione spetti anche in caso di procedura concordataria in bianco che non varca la soglia dell’ammissibilità ovvero in caso di revoca della proposta da parte del proponente; vii) se la prededuzione spetti al professionista che ha lavorato prima ancora del deposito della domanda di concordato; viii) se l’esigenza di contrastare il danno inferto ai creditori per effetto del depauperamento dell’attivo derivante da una gestione preconcordataria produttiva di debiti prededucibili possa essere soddisfatta attraverso la verifica dell’esatto adempimento, e del carattere non abusivo e/o fraudatorio, della prestazione richiesta al professionista in vista dell’accesso alla procedura concordataria .

Il Procuratore della Repubblica rassegnava le proprie conclusioni in data 25/11/2021, ritenendo sostanzialmente, quanto alla questione centrale e che qui interessa, che il credito avente ad oggetto un compenso professionale maturato in funzione della ammissione del debitore al concordato preventivo potesse essere collocato in prededuzione nel successivo fallimento solo a condizione che il concordato preventivo fosse stato inizialmente aperto e, al contrario, la predetta collocazione dovesse essere disconosciuta in ogni ipotesi di inammissibilità “originaria” del ricorso ex artt. 162 l.fall. ovvero di rinuncia alla domanda.

Oggi il contrasto appare definitivamente risolto con la pronuncia di San Silvestro delle SS.UU, che con la sentenza in commento hanno affermato il seguente principio di diritto: «Il credito del professionista incaricato dal debitore di ausilio tecnico per l’accesso al concordato preventivo o il perfezionamento dei relativi atti è considerato prededucibile, anche nel successivo e consecutivo fallimento, se la relativa prestazione, anteriore o posteriore alla domanda di cui all’art.161 l.f., sia stata funzionale, ai sensi dell’art.111 co.2 l.f., alle finalità della prima procedura, contribuendo con inerenza necessaria, secondo un giudizio ex ante rimesso all’apprezzamento del giudice del merito, alla conservazione o all’incremento dei valori aziendali dell’impresa, sempre che il debitore venga ammesso alla procedura ai sensi dell’art.163 l.f., ciò permettendo istituzionalmente ai creditori, cui la proposta è rivolta, di potersi esprimere sulla stessa».

Avv. Francesca Boschi                           Avv. Lorenzo Valdarnini

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Nel corso della vita di un’impresa o di un libero professionista può purtroppo capitare che un credito già emesso in fattura, rimanga in soddisfatto per il fallimento del debitore.
Cosa si può fare in questi casi? È possibile recuperare almeno le imposte indebitamente versate?
Risponde a queste domande l’avvocato tributarista Francesca Boschi, nel nostro ultimo interessantissimo video.

Se un nostro vicino emette rumori molesti tali da impedirci lo svolgimento di una vita serena all’interno della nostra abitazione è prevista una tutela da parte della legge? Sebbene il legislatore non sanzioni di per sé ogni forma di immissione rumorosa, ma qualora il Giudice accertasse l’intollerabilità del rumore emesso, si potrà chiedere la tutela giuridica sia per ottenere la cessazione dell’attività rumorosa, sia per ottenere il risarcimento del danno subito.

Ci espone in maniera dettagliata questo delicato argomento l’avv. Lorenzo Valdarnini

In caso di sopravvenuta impossibilità di usufruire di un pacchetto turistico a causa di un evento improvviso ed imprevedibile, verificatosi dopo la prenotazione e prima della partenza, come la malattia del titolare del servizio o di un suo stretto familiare, è possibile ottenere l’annullamento del viaggio e la restituzione delle somme versate per la prenotazione? Quali sono i rimedi e le tutele previste in questi casi per il consumatore?

Può infatti accadere che dopo aver prenotato una vacanza a causa di una improvvisa malattia non si possa più partire.

Facciamo chiarezza su questo interessante e delicato argomento che, in concreto, potrebbe riguardare chiunque.

Partendo dal dato normativo, già l’art. 1463 c.c. prevede la possibilità di risolvere il contratto per sopravvenuta impossibilità di godere della prestazione pattuita stabilendo che “nei contratti con prestazioni corrispettive, la parte liberata per la sopravvenuta impossibilità della prestazione dovuta non può chiedere la controprestazione, e deve restituire quella che abbia già ricevuta, secondo le norme relative alla ripetizione dell’indebito”.

A tale disposizione, infatti, si ricollegano molte pronunce dei Giudici della Suprema Corte di Cassazione che riconoscono la possibilità di avere la restituzione di quanto corrisposto alla controparte qualora si verifichi una sopravvenuta impossibilità di usufruire della prestazione.

L’art. 1463 c.c., quindi, si pone già di per sé come strumento a protezione e tutela della parte impossibilitata a fruire della prestazione pattuita, nel nostro caso sia essa il turista che l’operatore turistico, risultando funzionale proprio alla ricostituzione del sinallagma compromesso, legittimando il titolare della prenotazione ad ottenere la restituzione delle somme versate.

Detto ciò, tutti i servizi turistici sono oggi regolamentati dal Codice del Turismo, introdotto nel nostro ordinamento con il D.Lgs. n. 79 del 23/05/2011, le cui disposizioni vanno ad integrare e rafforzare i diritti del consumatore in materia di viaggi già previsti dal Codice Civile e dal Codice del Consumo (D.lgs n. 206/2005).

Secondo il Codice del Turismo è possibile che il consumatore possa domandare l’annullamento del viaggio e la richiesta di rimborso delle spese sostenute per la prenotazione per impossibilità sopravvenuta e per cause di forza maggiore, non prevedibili né ascrivibili alla condotta del contraente, come nel caso di una malattia sopravvenuta alla prenotazione che non consenta la partenza.

Tra le normative poste a tutela dei diritti del turista rientra anche la Direttiva europea n. 2302/2015, divenuta operativa a partire dal Luglio 2018, in base alla quale ogni utente consumatore può, in caso di improvvisa e sopraggiunta malattia, annullare il viaggio e recedere dal contratto con diritto a ricevere il rimborso integrale di quanto versato. Tra le cause che possono giustificare il rimborso del viaggio, la direttiva fa rientrare non solo l’ipotesi della malattia del titolare della prenotazione ma anche quella di uno stretto familiare, quale il coniuge o compagno/a (se uniti civilmente), del genitore e dei figli. In pratica, se il consumatore titolare del servizio turistico prenotato è impossibilitato alla partenza a causa di una malattia sopravvenuta ed imprevedibile, l’operatore turistico è tenuto a cancellare la prenotazione e a restituire le somme versate, anche quando l’evento impeditivo non riguardi direttamente il titolare del servizio.

Secondo la Suprema Corte di Cassazione (Cass. Civ. n. 18047/2018) qualora le parti non possano utilizzare la prenotazione per impossibilità sopravvenuta e per cause di forza maggiore, non prevedibili né ascrivibili alla condotta dei contraenti, questi dovranno ricevere il rimborso dell’intera prenotazione mai utilizzata, a prescindere dalla stipula di una polizza assicurativa per coprire eventi imprevedibili che impediscano la partenza, confermando che l’annullamento del viaggio può essere valido sia per la malattia di coloro che dovevano usufruire del servizio sia per la malattia che interessi i loro parenti prossimi.

La Suprema Corte ha altresì chiarito che la mancata sottoscrizione di una polizza assicurativa volta a coprire eventi imprevedibili, come nel caso di una malattia sopravvenuta che impedisca la partenza, non incide sulla possibilità per il consumatore di poter recedere dal contratto e pretendere la restituzione delle somme versate per la prenotazione.

In linea con il sopra citato orientamento risultano ulteriori pronunce della Corte di Cassazione e di numerosi Giudici di Pace intervenute sull’argomento, secondo cui la malattia va qualificata come impossibilità di fatto che incide negativamente sulla sfera giuridica del consumatore precludendogli la partenza. In questo senso, l’istituto del recesso da la possibilità alla parte interessata dall’evento impeditivo, imprevisto e/o imprevedibile di ritirarsi dal rapporto contrattuale liberandosi dai relativi obblighi.

In ragione di quanto sin qui evidenziato, nel caso specifico della grave ed improvvisa malattia che impedisca agli acquirenti di godere del pacchetto o servizio turistico acquistato, è quindi possibile affermare che il consumatore può chiedere l’annullamento della prenotazione e la restituzione di quanto versato, anche quando l’evento impeditivo non riguardi direttamente il titolare della prenotazione ma, bensì, un suo stretto familiare.

 

Il c.d. green pass bis è oramai divenuto legge, atteso che in data 15 settembre 2021 è stato convertito in legge il decreto legge n. 105 del 23.07.2021, che estende la validità della certificazione verde a dodici mesi.

Pertanto, dovendo convivere con questa attestazione per diversi mesi, salvo modifiche, è necessario sapere quali conseguenze penali e amministrative comporta il suo utilizzo irregolare.

Preliminarmente, ricordiamo che il green pass rappresenta un mero attestato comprovante o l’avvenuta vaccinazione contro il Covid-19, oppure lo stato di avvenuta guarigione dal virus, ovvero l’effettuazione di un test antigenico, molecolare e, con la nuova modifica, anche salivare, con risultato ovviamente negativo al virus Covid-19.

Dal punto di vista penale, sono diversi i reati in cui possono incorrere le persone che utilizzano il green pass in maniera illecita, potendo, a seconda dei casi, sussistere i delitti di falsità materiale commessa da privato, quello di uso di atto falso o addirittura il delitto di sostituzione di persona.

Anzitutto, preme rilevare che nonostante il green pass venga rilasciato direttamente dal Ministero della Salute e sia munito di un sistema di crittografia a doppia chiave che rende impossibile produrre certificazioni non autentiche, è comunque possibile falsificare questo documento attraverso l’utilizzo di altri strumenti.

Infatti, nella cronaca quotidiana sono molteplici le notizie di soggetti che vanno a contraffare od alterare la certificazione rilasciata dal Ministero, o spendono il green pass di altri soggetti.

Andiamo ora ad analizzare i reati sopra elencati.

Il reato di falsità materiale commessa dal privato (ex art. 482 c.p.) si integra quando taluno forma in tutto o in parte un atto falso ovvero altera un atto vero. Per quanto riguarda la prima condotta (contraffazione), questa consiste nel formare un atto ex novo dandogli un’identità diversa da quella effettiva: si pensi ai falsi certificati venduti attraverso alcuni canali Telegram; mentre l’alterazione, consiste nel modificare un documento già esistente, con nuovi dati o con l’eliminazione di una parte dei dati contenuti nel documento: si pensi, ad esempio, a colui che una volta eseguito il tampone rapido, valido per 48 ore, alla scadenza modifica la data di validità della certificazione.

Per tale reato sono previste sanzioni di rilevante entità atteso che il codice penale prevede la reclusione, ai sensi dell’art. 482 combinato con l’art. 477 c.p., da quattro mesi a due anni.

Se ciò non bastasse, come detto, vi sono anche altri illeciti legati al green pass, infatti se un soggetto, ad esempio, entra in un ristorante ed esibisce una certificazione falsa benché non falsificata da lui, ma consapevole del fatto che il documento che sta esibendo non è autentico, compie il reato di uso di atto falso punito dall’art. 489 c.p., con la reclusione ridotta di un terzo rispetto al reato di falsità materiale.

Infine, può accadere che un soggetto utilizzi la certificazione altrui; in tali casi si configura il reato di sostituzione di persona, ex art. 494 c.p., che punisce con la reclusione fino ad un anno chi “al fine di procurare a sé o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno, induce taluno in errore, sostituendo illegittimamente la propria all’altrui persona, o attribuendo a sé o ad altri un falso nome, o un falso stato, ovvero una qualità a cui la legge attribuisce effetti giuridici”.

A fronte di quanto esposto si pone un problema, infatti nel momento in cui un soggetto presenta il green pass, colui che effettua il controllo non ha l’immediata contezza che quell’attestato sia falso, o non appartenga a colui che lo ha esibito, in quanto questo tipo di documento non contiene la foto del titolare bensì soltanto il suo nome e cognome e la sua data di nascita.

Il verificatore richiede la certificazione all’interessato, il quale mostra il relativo QR Code (in formato digitale oppure cartaceo), poi attraverso un’applicazione della pubblica amministrazione denominata VerificaC19 inquadra il QR Code per ottenere in risposta una spunta verde in caso affermativo, o un segnale di divieto rosso nel caso in cui il pass non sia più valido. Nulla di particolarmente complicato se non fosse che, per motivi legati alla privacy, l’applicazione reca, come già detto, solamente il nome e il cognome del soggetto in questione e la sua data di nascita; per convalidare il controllo e assicurarsi che ci si trovi di fronte al reale titolare della certificazione, occorre richiedere il documento di riconoscimento.

Proprio a fronte di queste difficoltà il Ministero dell’Interno ha chiarito che la verifica dell’identità del detentore del green pass da parte del verificatore, pur non essendo un pubblico ufficiale, potrà ricorrere nei casi in cui appare manifesta l’incongruenza con i dati anagrafici contenuti nella certificazione.

Pertanto, se una persona, di giovane età, decide di esibire il green pass di un familiare anziano, il verificatore potrebbe, senza indugio, chiedere l’esibizione del documento di identità e, nel caso vi fosse una discrasia, sporgere denuncia.

Come espresso in precedenza, l’utilizzo illecito del green pass comporta, oltre che delle conseguenze penali, anche delle conseguenze amministrative, infatti colui che, sprovvisto di green pass accede nei luoghi o presso le attività in cui esso è obbligatorio, è passibile di sanzione pecuniaria per un importo che va da € 400,00 a € 1.000,00; analoga sanzione può essere elevata nei confronti dell’esercente che acconsente l’ingresso irregolare; inoltre, qualora la violazione fosse ripetuta per tre volte in tre giorni diversi, l’esercizio potrebbe essere chiuso da uno a dieci giorni.

Infine, ricordiamo che a partire dal 15 Ottobre 2021 fino al 31 dicembre 2021 (salvo proroghe) l’obbligatorietà del green pass sarà estesa a tutti i lavoratori, pubblici e privati.

Coloro che, a partire dal 15 ottobre 2021, entreranno nel luogo di lavoro sprovvisti di Certificazione verde potranno essere puniti con una sanzione pecuniaria che va da € 600,00 a € 1.500,00 euro, oltre alle conseguenze disciplinari previste dai diversi ordinamenti di appartenenza.

Infine, il nuovo decreto legge prevede che i dipendenti che comunicheranno di non avere il green pass o che non saranno in grado di esibirlo all’accesso nel luogo di lavoro saranno considerati assenti senza diritto alla retribuzione fino alla presentazione del certificato verde; avranno comunque diritto alla conservazione del posto di lavoro e non subiranno conseguenze disciplinari.

Se malauguratamente si rimane coinvolti in un sinistro stradale in qualità di trasportati, a chi occorre indirizzare la propria richiesta di risarcimento danni?

La risposta a tale domanda, soprattutto per gli addetti ai lavori, potrebbe  apparire scontata: il legislatore ha infatti configurato la specifica azione a tutela della posizione del trasportato nell’art. 141 del Codice delle Assicurazioni individuando nella Compagnia assicuratrice del vettore il soggetto gravato dal risarcimento.

Tradizionalmente detta azione è stata considerata dalla Giurisprudenza come  una azione tipica, diretta a rafforzare la posizione del trasportato, che prescinde dalla specifica prova della responsabilità nella causazione del sinistro e subordina l’accoglimento della domanda risarcitoria alla mera prova dell’evento storico del sinistro e della presenza del trasportato sul veicolo coinvolto nell’incidente.

Ma tale principio resta valido in ogni caso o è suscettibile di subire eccezioni?

Premesso che il terzo trasportato può agire, oltre che nei confronti dell’assicurazione del vettore EX ART. 141 COD. ASS., anche nei confronti del solo responsabile civile ex art. 2054 c.c. oppure coinvolgere anche la Compagnia di assicurazione di quest’ultimo ex art. 144 cod. ass, va detto che è la stessa norma dettata dall’art. 141 a prevedere che il trasportato è risarcito a prescindere dalla responsabilità dei conducenti, salva l’ipotesi del caso fortuito. Ad avviso di chi scrive è particolarmente interessante sul punto una recente pronuncia di legittimità – Cassazione n. 8386 del 29.04.2020 – che sulla scia di quanto già precedentemente statuito con la sentenza di Cassazione n. 4147 del 13.02.2019 ha ha affermato che l’art. 141 del Codice delle Assicurazioni, in conseguenza del riferimento al caso fortuito come limite all’obbligo risarcitorio dell’assicuratore del vettore verso il terzo trasportato  richiede che il vettore sia almeno corresponsabile del sinistro. Per caso fortuito, nella giuridica accezione inclusiva di condotte umane, si deve pertanto intendere non solo l’evento naturale imprevedibile ma anche la responsabilità esclusiva dell’altro conducente.

Ed allora, si pensi al caso in cui il soggetto danneggiato sia trasportato su un mezzo che, transitando tranquillamente su una strada ad unico senso di marcia, venga travolto frontalmente da un veicolo che ha imboccato quella strada contromano.

Nel caso sopra prospettato, alla luce della Giurisprudenza sopra richiamata, potrebbe essere preferibile per il danneggiato, onde non incorrere in una declaratoria di assoluta responsabilità del conducente dell’altro veicolo e nel conseguente rigetto della domanda avanzata ai sensi dell’art. 141 Cod. ass. nei confronti della Compagnia del vettore, intraprendere un’azione ordinaria di risarcimento ai sensi dell’art. 2054 c.c. e/o ai sensi dell’art. 144 Codice delle Assicurazioni.

Spesso ci viene chiesto dagli imprenditori nostri clienti di redigere alcuni contratti di procacciatore d’affari, ma il più delle volte, non appena analizzata la fattispecie concreta, avvertiamo gli stessi del pericolo di scivolare sul diverso crinale del rapporto di agenzia.

Ma andiamo ad analizzare nello specifico di cosa si tratta.

Il contratto di procacciatore d’affari e quello di agenzia hanno pressoché lo stesso oggetto e la stessa finalità, ovvero la promozione delle vendite per il preponente a fronte del pagamento di un corrispettivo in forma di provvigione.

Il Supremo Collegio, anche recentemente (Cass. Civ. Sez. Lav 31.07.2020 n. 16565), ha avuto modo di precisare la distinzione tra le due figure contrattuali:
“ I caratteri distintivi del contratto di agenzia sono la continuità e la stabilità dell’attività dell’agente di promuovere la conclusione di contratti per conto del preponente nell’ambito di una determinata sfera territoriale, realizzando in tal modo con quest’ultimo una non episodica collaborazione professionale autonoma con risultato a proprio rischio e con l’obbligo naturale di osservare, oltre alle norme di correttezza e di lealtà, le istruzioni ricevute dal preponente medesimo. Il rapporto di procacciatore d’affari, invece, si concreta nella più limitata attività di chi, senza vincolo di stabilità ed in via del tutto episodica, raccoglie le ordinazioni dei clienti, trasmettendole all’imprenditore da cui ha ricevuto l’incarico di procurare tali commissioni. Quindi, mentre la prestazione dell’agente è stabile, avendo egli l’obbligo di svolgere l’attività di promozione dei contratti, la prestazione del procacciatore è occasionale nel senso che dipende esclusivamente dalla sua iniziativa”.

In altre parole, la prestazione dell’agente è per natura stabile, avendo egli l’obbligo di svolgere con continuità l’attività di promozione delle vendite nell’interesse della preponente e secondo le istruzioni impartite del medesimo, la prestazione del procacciatore d’affari è invece del tutto occasionale, dipendendo esclusivamente dalla sua iniziativa.

Dunque, ovviamente, non basta nominare il contratto come procacciatore d’affari per escludere a priori la configurabilità di un rapporto di agenzia ed in tal caso, qualora il rapporto venisse qualificato come tale, quali sono i rischi che corre l’imprenditore preponente?

  • In primo luogo l’Enasarco può richiedere tutti i contributi non versati durante il rapporto, oltre al versamento del FIRR ed applicare talune sanzioni.
  • Secondariamente, il procacciatore nel giudizio di riconversione del rapporto in quello di agenzia potrebbe chiedere l’applicazione delle tutele tipiche previste da tale ultima fattispecie contrattuale quali ad esempio il pagamento delle indennità di fine rapporto, delle indennità del mancato preavviso previsto dagli AEC e delle eventuali provvigioni indirette.

Ma quali potrebbero essere alcuni elementi concreti che fanno propendere per l’una o l’altra tipologia contrattuale?

Secondo una recente pronuncia della Cassazione del 22 giugno 2020 n. 12197 la sola percezione da parte del procacciatore di compensi provvigionali, con discontinuità temporale e quantitativa, non può costituire elemento valido per la configurazione di un rapporto di agenzia.

Tuttavia, di converso, con la sentenza n. 3557 del 23 ottobre 2018 la Corte di Appello di Roma ha ritenuto che il riconoscimento di provvigioni in favore del procacciatore mediante l’emissione di fatture con una numerazione progressiva e continua e talune anche con la dicitura in “acconto”, costituisse elemento decisivo a dimostrazione della stabilità e dell’esclusività del rapporto tipica del contratto di agenzia.

Inoltre, altro elemento concreto che ha fatto propendere la Corte nel qualificare il caso di specie in un rapporto di agenzia risulta essere la limitazione allo scioglimento del rapporto che era comunque legato alla stagionalità delle vendite, e quindi in netta antitesi con il requisito essenziale della occasionalità tipica del contratto di procacciatore di affari.

Pertanto ciò che più conta non è il nomen del contratto di procacciamento d’affari, bensì la verifica degli elementi giuridici costitutivi del caso concreto, verifica che potrebbe smascherare un rapporto di agenzia solo formalmente “camuffato” da contratto da procacciatore d’affari.